Di recente la V sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza 14 gennaio – 24 marzo 2016 n. 12528, dopo avere indicato le differenze tra il reato di "Atti persecutori" previsto dall'art. 612-bis e quello di molestie ex art. 660 c.p., ha enunciato il seguente principio di diritto: "Le condotte di molestie rilevanti ai sensi dell'art. 612 bis c.p. stante la diversità tra la detta fattispecie e quella dell'art. 660 c.p., non devono essere necessariamente commesse in luogo pubblico, aperto al pubblico ovvero con il mezzo del telefono, come previsto dal tenore letterale dell'art. 660 c.p.”
Nel caso deciso dalla Suprema Corte all'imputato veniva contestato in primo grado il reato di cui all'art. 612 bis c.p. perchè “con condotte reiterate e quotidiane, consistenti in dichiarazioni amorose deliranti ed in minacce, molestava la ex moglie, in particolare inviandole numerosi messaggi sms, decine di messaggi di posta elettronica e lettere, consegnandole a casa, sul luogo di lavoro e presso parenti, lasciandole bigliettini sul parabrezza dell’auto, in modo da cagionarle un grave e perdurante stato di ansia e di paura tale da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto”.
Il Tribunale di Cremona assolveva l'imputato perchè il fatto non sussiste. Con ricorso depositato il 09/07/2015, il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Brescia ricorreva per violazione di legge, ex art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 612 bis, e 660 c.p., in quanto “la motivazione dell’assoluzione sarebbe stata determinata dal fatto che, secondo il giudice impugnato, la condotta di cui all’art. 612 bis, c.p., dovrebbe coincidere con quella di cui all’art. 660 c.p., con la conseguenza che le condotte di molestie dovrebbero necessariamente essere commesse in luogo pubblico o aperto al pubblico e con il mezzo del telefono; da ciò conseguirebbe l’esclusione della rilevanza penale dell’invio di messaggi di tipo epistolare e di quelli inviati per posta elettronica, oltre che per l’impossibilità di interpretazione estensiva del dettato normativo, anche per la possibilità di individuare immediatamente il mittente e, quindi, di escludere la ricezione dei messaggi stessi e delle lettere, evitando in tal modo ogni lesione alla sfera individuale. Tale interpretazione non appare condivisibile, in quanto le condotte moleste, seppure non rientranti nel parametro individuato dagli artt. 612 e 660 c.p., nella misura in cui siano reiterate e producano uno degli eventi indicati nella norma di cui all’art. 612 bis, c.p., integrano il delitto di atti persecutori".
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del Procuratore Generale e rimarca che “il reato di molestie di cui all'art. 660 c.p., si pone come del tutto distinto, autonomo e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p, da cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati e per la diversa struttura del reato.
La contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., che configura la molestia o il disturbo alle persone, mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata; trattasi di un’ipotesi di reato plurioffensiva, che mira a tutelare non solo la tranquillità del privato, ma anche l’ordine pubblico, ed è, pacificamente, reato di pericolo, non necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o caratterizzata da petulanza, ossia da quel modo di agire pressante ed indiscreto che interferisce in maniera sgradevole con l’altrui sfera privata (Sez. 1, sentenza n. 19924 del 04/04/2014, Rv. 262254; Sez. 1, sentenza n. 3758 del 07/11/2013, Rv. 258260; Sez. 1, sentenza n. 2597 del 13/12/2012, Rv. 254627).
Il delitto di atti persecutori tutela la libertà individuale ed è reato abituale di danno, per la cui sussistenza è richiesta la produzione di un evento consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura,o, in alternativa, di un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva.
Non vi è dubbio, quindi, che la condotta del delitto di cui all’art. 612 bis, c.p., possa essere rappresentata da molestie, oltre che da minacce, ma ciò non legittima l’interprete a considerare la fattispecie di cui all’art. 612 bis, c.p., come una reiterazione di successivi episodi di molestie, come tali singolarmente inquadrabili nella contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.
I beni giuridici protetti sono diversi tra loro – in un caso la libertà individuale, nell’altro la quiete privata e l’ordine pubblico – la struttura dei reati è ontologicamente diversa – delitto necessariamente abituale di danno in un caso, reato non necessariamente abituale di pericolo nell’altro – per cui appare evidente come dette fattispecie possano avere un nucleo strutturale comune, costituito dalla condotta molesta che tuttavia, nel delitto di cui all’art. 612 bis, c.p., si deve inserire in una sequenza idonea a produrre uno degli eventi di danno tipizzati dalla norma, eventualmente affiancandosi anche ad altre tipologie di condotte minacciose o lesive, mentre nella contravvenzione di cui all’art.660 c.p., la rilevanza dell’ordine pubblico quale bene da tutelare rende necessario che le molestie siano commesse in un luogo pubblico o aperto al pubblico, oltre che con il mezzo dei telefono. La tutela apprestata dall’art. 612 bis, c.p., alla libertà individuale prescinde e non si estende ad alcuna dimensione pubblicistica, per cui dalla sfera di operatività di detto reato esula del tutto la tutela dell’ordine pubblico, con la conseguente irrilevanza dell’essere le condotte moleste, nel caso di cui all’art. 612 bis, c.p., commesse o meno in un luogo pubblico o aperto al pubblico.”
Si allega il testo degli artt.Art. 660 c.p. e Art. 612 bis c. p. e il testo della sentenza della Cassazione n. 12528/2016 del 24.03.16.
In data 05/06/2016 è entrata in vigore la Legge 20 maggio 2016 n. 76 (Legge Cirinnà)Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. (G.U. Serie Generale n.118 del 21-5-2016)
La suddetta legge oltre a istituire nei commi da 2 a 35 dell'art. 1 l'unione civile tra persone dello stesso sesso, nei successivi commi da 36 a 67 dell'art. 1 regola le convivenze di fatto.
Sono «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La Legge di cui sopra dal comma 50 dell'art. 1 individua la possibilità per i conviventi di fatto di dare valore ai loro accordi patrimoniali mediante la sottoscrizione di un atto pubblico o di una scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un AVVOCATO che ne attestano la conformita' alle norme imperative e all'ordine pubblico.
Ai fini dell'opponibilita' ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
Il contratto di cui al comma 50 reca l'indicazione dell'indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo.
Il contratto puo' contenere:
a) l'indicazione della residenza;
b) le modalita' di contribuzione alle necessita' della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacita' di lavoro professionale o casalingo;
c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile.
Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza puo' essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalita' di cui al comma 51.
Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignita' degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza.
Il contratto di convivenza non puo' essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.
Il contratto di convivenza e' affetto da nullita' insanabile che puo' essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:
a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;
b) in violazione del comma 36;
c) da persona minore di eta';
d) da persona interdetta giudizialmente;
e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.
Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento.
Il contratto di convivenza si risolve per:
a) accordo delle parti;
b) recesso unilaterale;
c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente
ed altra persona;
d) morte di uno dei contraenti.
La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.
Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l'atto e' tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo risultante dal contratto.
Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilita' esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullita', deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione.
Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonche' al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile.
Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte affinche' provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza.
Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, e' inserito il seguente:
«Art. 30-bis (Contratti di convivenza).
1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza e' prevalentemente localizzata.
2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima».
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo
438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma e' adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.